Lo so, è una mostruosità! Dire che anche il male serve è davvero una cosa inaudita, perché noi siamo fatti, addirittura biologicamente, per il bene. Lo confermano anche le più recenti scoperte scientifiche: l’uomo è qui su questa Terra per il bene, per stare bene non solo in senso individuale, ma in senso comunitario: stiamo meglio se tutti stiamo bene. Allora, in quale senso affermo che anche il male serve? Mi spiego.
Si è spesso affermato che Dio sa ricavare il bene anche dal male; è vero, ma questa è un’idea che possono accettare solo coloro che credono in Dio e assai di frequente anche i credenti faticano a credere in questa affermazione, perché il male fa male a tutti, credenti e non credenti. Io vorrei, però, allargare la riflessione e servirmi della ragione, come ci hanno insegnato soprattutto gli ultimi due pontefici, Giovanni Paolo II (ora santo) e Benedetto XVI (che non dobbiamo mettere in soffitta troppo frettolosamente, perché il suo insegnamento è una miniera di risorse intellettuali e sociali, oltre che spirituali). Servirsi della ragione vuol dire capire a che cosa ci porta il nostro pensiero, se è correttamente inteso.
Noi siamo quello che siamo perché deriviamo da una storia e da una cultura che hanno almeno cinque-seimila anni (per non parlare dei circa quattordici miliardi di anni in cui v è vita), durante i quali moltissimi uomini e donne, prima di noi, si sono posti gli stessi grandi problemi che ci poniamo noi oggi; anzi, essi si sono posti questi problemi con una chiarezza e con una profondità che noi oggi non sappiamo raggiungere, perché siamo presi da altre faccende, spesso solo superficiali. Una di queste antichissime tematiche è proprio la questione del male.
Indagando tra i grandi pensatori del passato, incontro un personaggio, africano, che ha saputo dare una risposta, a mio avviso sempre attuale, alla domanda: che cosa è il male? Mi riferisco a sant’Agostino, avvocato e vescovo. Alla domanda sul male, egli offre una risposta che qui riassumo brevemente.
Esistono tre tipi di male: il male fisico (le malattie, il dolore e le sofferenze che proviamo nel nostro corpo); il male morale (le insoddisfazioni perché non raggiungiamo i nostri obiettivi, o perché siamo delusi dal modo in cui vanno le cose, o perché sentiamo dentro di noi una specie di tarlo che ci rode quando la nostra coscienza non è serena). Ma, alla base di tutto, sta il male metafisico.
S’Agostino
Che cos’è il male metafisico? È il fatto che noi siamo limitati. C’è poco da discutere: ognuno di noi sperimenta in se stesso il limite, cioè il fatto che ci manca qualcosa. Attenzione, non mi riferisco alle cose materiali, come quando ci accorgiamo di essere senza cibo in frigorifero e allora andiamo a fare la spesa. Mi riferisco a qualcosa di assai più profondo. Per esempio, tutti sperimentiamo che la nostra felicità dura poco, o che la nostra serenità è spesso fragile, oppure ancora che la nostra bontà viene messa a dura prova dai fatti della vita, e così via per mille altre esperienze.
Oppure, in modo ancora più radicale, tutti abbiamo fatto esperienza che la vita ha un confine che può essere più lontano o più vicino, ma un confine c’è.
Ecco, tutto questo ci porta a concludere che noi siamo limitati o, per dirla con parole difficili, forse, ma vere, noi siamo enti e non l’essere. Questo, come ci ha insegnato il grande Agostino, è il nostro male vero, la radice di tutti gli altri mali che nella vita sperimentiamo.
A questo punto, però, noi abbiamo due possibilità: o ci disperiamo perché vediamo che non siamo perfetti, che qualcosa ci rende sempre insoddisfatti; oppure – ed è questa la strada che io preferisco e che trovo indicata nel Cristianesimo – noi ci lasciamo attrarre dalla perfezione che ci manca.
Se nella mia giornata vedo che, nonostante i miei sforzi, non riesco ad essere buono, gentile, generoso, altruista come vorrei, questo non deve abbattermi, ma essere per me un motivo in più per dire: voglio tentare ancora, voglio riprovare, voglio migliorare.
Ecco la vera questione: le mie mancanze devono essere il mio migliore stimolo a migliorare, a fare meglio, a dare di me il meglio nel lavoro, in famiglia, nella società.
Non sembri questa una cosa strana o inusuale, perché, solo per fare un esempio, nelle migliori scuole di management è proprio questa l’idea che ricorre più frequente. E se lo ha capito perfino l’economia, non potremmo anche noi adottarla nella nostra vita? In fondo, come dicevano anche i maestri medievali, nel mondo tutto si tiene, tutto è collegato. A noi spetta il compito di vedere l’unità di tutte le cose e di vivere in questo mondo in maniera armonica. Così anche il male può essere una spinta a tendere sempre più in alto. Perché, come dice il Cristianesimo (ma lo aveva, in certo senso, scoperto anche Aristotele) Dio è sempre oggetto di attrazione, cioè, Dio è amore.
Lino Sartori | Filosofo